3 ottobre 2009

Les Claypool - A sud del capanno - quarup - Pescara 2009

Gironzolando tra gli scaffali delle novità noir di una grande libreria romana mi sono imbattuto in questo romanzo di Les Claypool. Sono andato subito a verificare se si trattasse dello stesso Les che conoscevo io e cioè del grande bassista membro fondatore dei Primus ed effettivamente era così.
Il libro è uscito negli Stati Uniti nel 2006 con il titolo di "South of the Pumphouse" ed è stato tradotto in italiano da Fabio Genovesi e pubblicato dalla piccola casa editrice pescarese "quarup".
Contrariamento al suo bassistico andare dinoccolato e sincopato, come scrittore Les è molto più fluido, preciso, scarno.
Si tratta della storia di due fratelli Ed e Earl che si reincontrano ad "El Sobrante", cittadina della baia di San Francisco, per una battuta di pesca. Loro obbiettivo è uno storione clamoroso, di quelli che solo loro padre, da poco scomparso, riusciva a pescare.
"In realtà è solo un alibi che nasconde la vera avventura: la scoperta di “ciò che resta” del loro paese, dei tempi passati, delle convinzioni maturate nel corso del tempo, e soprattutto del rapporto che li lega." (Questa l'ho copiata para para perchè mi sembrava rendere bene l'idea, ma non mi ricordo da dove:-().
Alla gita in barca si aggrega un amico di Earl, che non va per niente giù a Ed: è uno stronzo razzista, bigotto, maschilista e per un frikkettone come lui è veramente troppo.
Così decide di "alienarsi" un attimo con l'ausilio di un po' di funghetti allucinogeni, sperando di riuscire a non dover dare troppa retta a quel coglione ed alle sue stupide battutine.
La storia, anche se all'inizio un pochettino lenta, scivola via liscia creando via via un'atmosfera dark, fatta di malintesi, di cinismo,  di droghe varie ed ovviamente di morte.
Claypool cita tra le sue ispirazioni Bukowski, Hunter S. Thompson, David Sedaris, Jean Shepherd, Bill Bryson, ma non manca di affermare, a termine di un intervista che gli è stata fatta, che:
"I am just a bass player".
P.S. Se fossi in voi ci penserei sopra prima di accettare l'offerta di un mini-sandwich al tonno.....

Sito casa editrice:

Grey Machine - Vultures Descend - 12" - Hydra Head (2009)

Nuova band composta da Justin Broadrick (ne cito solo alcuni: Napalm Death, Godflesh, Final, Techno Animal, Jesu, God, Ice, Curse Of The Golden Vampire, Head of David...), Aaron Turner (Isis), Dave Chochrane e Diarmuid Dalton (Jesu).
Questo è solo un assaggio di ciò che si trova su "Disconnected", uscito in questi giorni ma non ancora a mia disposizione. Comunque si può ascoltare sul sito ufficiale del gruppo.
Justin sembra essere particolarmente di cattivo umore ultimamente, vedi il titolo scelto per l'album, e ritorna a dedicarsi a sonorità heavy e claustrofobiche come quelle dei migliori Godflesh.
Quella che potrebbe sembrare una sorpresa è la seconda traccia, una sorta di mantra Dubstep-Industrial, ma se pensiamo alle passate sperimentazioni sonore del signor Broadrick non lo è nemmeno tanto in quanto aveva già giocherellato con sonorità dub-influenced ed il fatto che adesso sia arrivato anche lui alla Dubstep è solo un segno dei tempi


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Official Site:

2 ottobre 2009

Ratos De Porao - Crucificados Pelo Sistema (1984)


Nascer Para Liberdade

E Crescer Para Morrer

Crucificados Pelo Sistema

Morrer Sem Esquecer

O Povo Que Ficou

Crucificados Pelo Sistema

Nascer Para Liberdade

E Crescer Para Morrer

Crucificados Pelo Sistema


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Bohren & The Club Of Gore-Black Earth (2002)

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Diary of a Calabro Warrior: Croatian Tour.


Qualche tempo fa ho letto su quella che forse è la rivista musicale italiana più famosa che una buona recensione si scrive senza usare superlativi. Bene, io prescinderò da questa regola non scritta.
L’Outlook Festival 2009 si tiene in Croazia per il secondo anno consecutivo. La location quest’anno è la discoteca Aquarius a Novalja, isola di Pag, e precisamente nella bellissima spiaggia di Zrce.
Per raggiungerla da Roma mi prendo il treno fino ad Ancona e poi traghetto fino a Zadar.
Si viaggia di notte, qualche puntatina al bar, sigarettina sul ponte e qualche chiacchera di qua e di là. E’ così che mi imbatto in un trio di pescaresi anch’essi diretti al festival.
Che fai, che non fai, cosa ascolti, cosa non ascolti, alla fine esce fuori che il più maturo dei tre, mio coetaneo, altri non è se non C.U.B.A. Cabbal, mitico rappresentante della scena hip-hop underground italiana ( avete presente Costa Nostra? Lou X, Dj Disastro, oppure il progetto rap-metal alla Rage Against The Machine conosciuto con il nome di Sistema Informativo Massificato?).
Mi dice che ultimamente mette le sue rime anche al servizio di Dj’s Drum’N’Bass e Dubstep e che quindi con i due compari ha deciso di fare una capatella al festival in una terra che conosce già abbastanza bene. Penso abbia suonato da queste parti in tempi di guerra.
Bon, ci salutiamo e ci si vede.
Arrivato sul posto la stanchezza è tanta, il viaggio è durato quasi un giorno e sulla nave non ho chiuso occhio. Dormo un’oretta, ma sono ansioso di immergermi in questa tre giorni dedicata alle basse frequenze, quindi prendo la navetta che dal paese porta sulla spiaggia e via!
Arrivo sul posto mentre sta quasi per finire di suonare Headhunter. Il suo ultimo lavoro “Nomad” mi è piaciuto, ma propone un tipo di dubstep che preferisco ascoltare a casetta mia piuttosto che in un club. Dopo di lui si presentano i Sukh Knight, il volume dei bassi cresce, parte qualche hit tipo “Rock Tha Bells” di Jakes o “Saxon” dei Chase’N’Status (quella col campionamento del riff iniziale di “Fade To Black” dei Metallica) e la gente, ancora non tantissima, inizia a scaldarsi. I due sanno quel che fanno e l’ora a loro disposizione la sfruttano proponendo un set ad alta intensità.
A questo punto mi si avvicina un tipo, sulla quarantacinquina, che indicando la mia maglietta dei Joy Division mi racconta di quando lui li vide nel 1979 a Londra…..beato! penso, e mi concentro di nuovo sulla musica.
Sono arrivato da poco più di un’ora e già viene il turno di uno dei miei Dj preferiti: Stenchman.
Ovviamente si presenta con la maschera di ordinanza, questa volta però non integrale, di modo da lasciare ballonzolare la fluida capigliatura, e non solo, visto che il signorino è bello in carne.
Gira voce che le maschere gliele prepari lo stesso tipo che lavora per gli Slipknot.
Va subito giù duro, suona alcuni dei suoi classici e seleziona altre belle tracce di hard-dubstep.
A tratti le ritmiche sembrano mutuate dall’hard-tek e, se escludiamo le ultime due tracce finali un po’ troppo cazzeggione, c’è da ritenersi soddisfatti. Dimenticavo, suona con dei Cd’s player della Piooner. Prende il suo posto Walsh che ascolto poco, suona abbastanza potente, ma la serata è lunga così vado a fare un giretto fuori, dove c’è il palco dedicato al dub ed al reggae, a bere una birra e prendere un po’ d’aria. Di aria in realtà ce ne anche troppa, visto che tira una bora micidiale che ti fa cadere il bicchiere di mano e, tra l’altro, a me, reggae e dub annoiano a bestia.
Rientro ed arriva N-Type, sono curioso, è un pezzo grosso ma lo conosco poco, sentiamo un po’ che fa……Intanto la sala si è riempita e dopo pochi minuti la gente è in delirio. Il nostro ragazzone propone una dubstep cattivissima, i bassi sono slabbrati al massimo, ad ogni break riparte con più vigore di prima. Non riconosco tanti pezzi e qui apro una parentesi: i pischelli presenti, nella quasi totalità inglesi, mi fanno rosicare… le sanno tutte, canticchiano nelle parti dove sono presenti delle liriche, sui breaks li vedi pronti a riesplodere perfettamente a tempo, ognuno ha la sua maniera di skankare ( skank: definizione della danza tipica della dubstep, anche se originariamente il termine veniva usato per il ballo reggae, dub….).
Ripeto, rosico ma nello stesso tempo sono estasiato, mai sentito nulla del genere, in quanto a impatto non ha nulla da invidiare alle migliori bands brutal-death in circolazione, il ché, c’è da dire, è anche favorito da un impianto mostruoso.
Sono già stremato quando arriva il tanto osannato Martyn. Per l’olandese potrei fare un discorso simile a quello fatto in precedenza per Headhunter, ma lasciatemi accanire un po’. L’avevo visto quest’anno al Sonar e le sue sonorità intrise di techno minimal mi avevano veramente appallato. Oggi il tutto suona un po’ meglio, comunque sia mi addormento. Sopravvalutato.
Mi risveglio quando è arrivato il turno alla consolle per 2562. Idem con patate, se mi voglio sentire un po’ di minimal preferisco Trentemoller o Apparat o Ellen Allien, comunque sia in piccole dosi ed ogni tanto.
Bene, tocca ad un altro mito: Distance. Il suono assume quella connotazione industriale tipica delle sue produzioni, anche se cerca di essere più “ballabile” possibile. Avevo sentito dire che dal vivo ogni tanto propone qualche chicca drone-doom tipo Khanate ma nulla di tutto ciò.
Peccato per i continui “reguaind”, manco fossimo ad una dancehall reggae, spezzano troppo il ritmo ed il signorotto poteva lasciarci ballare un po’ più fluidamente.
Adesso toccherebbe ad Hatcha ed infatti è lui a presentarsi alla consolle, ma non lo fa da solo bensì accompagnato dalla star Benga, che teoricamente sarebbe dovuto subentrare in seguito.
Hatcha si muove su coordinate simili a quelle di N-Type, sempre alla ricerca della massima saturazione e dimostra di saperci fare con il mixer ed i piatti, con belle sovrapposizioni e sincro perfetti. Notevole il look, petto nudo e capezza d’oro spessa più di un dito. Il contributo di Benga in realtà è minimo, non so quante saranno le tracce da lui selezionate, comunque pochissime, anche se, ad essere onesti, mi ha piacevolmente sorpreso suonando anche lui molto potente con suoi vecchi pezzi remixati di modo da renderli molto più incisivi. Ovviamente non poteva mancare un minutino tratto da “Night”.
A questo punto toccherebbe ad un po’ di drum’n’bass, ma sono troppo cotto e vado a nanna.
La miglior maglietta vista in circolazione oggi la indossa un ragazzo che credo sia croato: His Hero Is Gone, storica band hard-core americana oramai discioltasi da una decina di anni.
M.V.P.: N-Type

Il pomeriggio successivo mi ripresento giusto in tempo per sentire la seconda performance di Hatcha, che oggi ha optato per l’eleganza ed indossa una canotta bianca. Stessa storia di ieri, riesce benissimo a fomentare la folla. Si ha l’impressione di essere travolti da un tir lanciato a tutta velocità. Si concede anche una mezza romanticheria e piazza uno degli hit del momento, con tanto di accendini accesi nella sala manco fosse “Starway To Heaven”, trattasi di “In For The Kill” remixata da Skream, anche se ho l’impressione che anche qui ci abbia rimesso lo zampino sopra qualcuno, rendendo il suono più massiccio. A metà set sono salito sul palchetto della consolle e me lo sono un po’ spizzato lavorare. Cosa strana, tutti i vinili si presentavano uguali con centrino bianco e titolo del brano scritto a penna. Non erano tutte produzioni sue, ha suonato anche tracce di Benga, di Distance e di altra gente, comunque tutte su questi vinili che sembrano preparati ad hoc per lui.
A fine esibizione distribuisce un Cd mix di un live per Kiss Fm. Me ne accaparro una copia e ringrazio.
E’ il turno di Steppa che a causa di qualche defezione, penso, fa un set molto lungo, circa due ore.
Anche lui non lo conoscevo bene, mi aspettavo suonasse dubstep, invece piazza un set di originalissima drum’n’bass che smentisce seccamente quelli che ritengono il genere oramai arrivato alla frutta. La sala è pienissima ed è tutto un saltellare su ritmi infernali e bassi devastanti. Ho una certa età, ma non ho potuto esimermi dal rendere omaggio a cotanta vitalità. Bello e divertente.
Aiuto! Si ripresenta N-Type e sono di nuovo mazzate. La selezione è diversa rispetto a quella di ieri, ma l’impatto è identico. Altra parentesi, ero stato a questo festival lo scorso anno e quest’inverno, grazie alla crew di Viral, mi sono fatto praticamente una serata dubstep a settimana, anche con nomi grossi tipo Rusko, MRK1, Terrafonix, LD, Silkie. Vabbé, volevo dire, mi sembra che da un anno a questa parte il suono della dubstep si sia evoluto, prendendo connotati più heavy, e si sia in qualche modo anche personalizzato, rimanendo sempre debitore ai suoni del dub, della drum’n’bass, di certa techno, dell’hip-hop, ma che il processo di metabolizzazione delle principali influenze sia ad uno stadio molto avanzato, insomma penso si possa sempre meno parlare di un suono derivato da….
E’ giunta l’ora di uno dei padri fondatori di queste sonorità: Mala, accompagnato dal suo fedele scudiero, l’Mc Sgt Pokes. Oltre ad essere Dj e produttore, la sua figura si stacca anche per i messaggi lanciati nei suoi pezzi e nelle rime del suo Mc. Si potrebbe definire la coscienza critica del movimento, unendo misticismo ed impegno politico con il suo interesse per la Teologia della Liberazione (pensiero filosofico, nato in Brasile, che unisce cristianesimo e marxismo e che vede come uno dei suoi esponenti principali Paolo Freire, famoso pedagogo).
Passiamo alla musica. Il suo sound è fortemente influenzato dal dub, ma forse, per quel discorso che facevo prima sull’evoluzione della dubstep, anche lui propone un set vibrante e potente, alternando i suoi classici anthems dubbeggianti con tracce più dure, splendida “Dubstet Warz”! Mi ha colpito in particolare l’ultima traccia della selezione, un vero esempio di cattiveria sonora, della quale purtroppo non vi so dare nessuna notizia visto che non sono riuscito ad avvicinarmi alla consolle. Respect!
Tocca a Loefah, altro componente dei Digital Mystikz. Avrebbe dovuto suonare questa primavera a Roma, sempre grazie ai signori di Viral, ma all’ultimo momento è saltato tutto. Bene, penso, adesso mi rifaccio. Ed effettivamente è un gran bel sentire, il suo è un set molto personale, la battuta rallenta, ma le randellate si inspessiscono. Anche lui ha chiaramente un background dub, ma la rilettura che fa di quelle sonorità è originale e efficacissima, si sentono echi industriali, a testimonianza del fatto che il remix di “3RD Choice” di Vex’d fatto circa tre anni fa non era un caso. Sono stanco, passo gran parte del tempo a dimenarmi seduto sulla spalliera di un divanetto a fianco alla consolle, dando sfogo alla mia componente di metallaro indomito con un headbagging continuo che mi lascia i muscoli del collo doloranti per giorni.
A questo punto ascolto una ventina di minuti di Youngsta (grande nome!) e ne rimango colpito, ma sono troppo distrutto e, data un occhiata al programma e visto che suonerà anche il giorno dopo, decido di rincasare e rimandare a domani questa esperienza uditiva.
Ariparentesi. L’occhiata sul programma l’ho potuta dare perché ho chiesto a un ragazzo di lasciarmi un attimo il suo, visto che quei genialoidi degli organizzatori, pulciari!, quest’anno il programma te lo vendevano insieme ad un laccetto da portare al collo per circa sei euri!!!
Migliore maglietta della giornata indossata da un capellone inglese: Metallica, Master Of Puppets, quella con il cimitero per intenderci, ovviamente senza maniche.
M.V.P.: ex aequo Hatcha e N-Type.

Domenica. Ultima giornata, domani ci sarà un richiamino, ma di quello parlerò dopo.
Nella sala al chiuso qualcuno suona della grime che non mi convince, così esco e becco la fine del concerto degli Zion Train. Come già ripetuto più volte non amo il dub, ma loro sono pur sempre una istituzione, mamma mia che brutta parola!, così tracanno birra e ascolto. Il loro Dj chiude il live con un pezzo jungle sul quale i due fiati, tromba e sax, giocherellano un po’.
Da quelle parti passa C.U.B.A. e chiacchieriamo un attimo. Mi dice che il giorno prima si sono fatti il boat party (si, c’è pure la barchetta con il sound che gira per le isole) e che ad un certo punto ha osato proporsi al microfono presentandosi come Mc italiano. Al che gli è stato “cordialmente” risposto: “this is a uk party”. Vabbé, lo saluto e rientro.
Arrivo con RSD ai piatti, di dubstep c’è poco, si tratta più che altro di dub digitale. Probabilmente sarebbe piaciuto al mio amico siculo che mi dice sempre “ si pazzu ppa musica”. Tra l’altro sotto la sigla RSD non si cela altri che Rob Smith, membro negli anni novanta del duo Smith & Mighty, autori di un Dj Kicks di tutto rispetto, che se non sbaglio il siculo dovrebbe pure avere.
In ogni caso ascolto una ventina di minuti e mi faccio un altro giretto all’aperto.
Aspetto che arrivi Youngsta e di nuovo dentro.
Il giorno prima non mi ero sbagliato, ci sa fare.
Pare abbia iniziato a fare il Dj a 12 anni, altro da annoverare nella lunga lista di enfant prodige della dubstep, vedasi Benga e Skream su tutti. Suona una dubstep che nessun altro ha proposto in questi tre giorni. Lentissima, oscura, ipnotica, intontente ( si dice? ), mi faccio i miei film e ripenso a quando tanti anni fa scoprii i Melvins con il loro “Bullhead” o gli Eye Hate God di “Take As Needed For Pain”. Probabilmente lui non ha mai ascoltato certe cose e forse il paragone è un po’ azzardato, ma una mia vecchia ossessione è che certe atmosfere e sonorità dubstep si avvicinano a quelle dello sludge-core, del doom, del drone e perfino del death.
Torniamo a noi. La sua ora passa come se nulla fosse, tant’è profonda l’immersione in questo mantra che il ventenne londinese ci propina.
Non è finita. E’ l’ora di Kromestar, ripongo grosse aspettative su di lui ma devo dire che sono state parzialmente deluse. Intendiamoci, il nostro, presentatosi con felpa e occhiali da sole, ed ovviamente eravamo al buio e con un caldo della madonna, offre un’ora di ottima musica, sconfinando anche nella drum’n’bass. Però visto il livello delle proposte fino a qui pervenute si situa un gradino sotto.
E’ così che inizia Oris Jay, il suo è il set più vario di tutto il festival. Le prova tutte, dubstep, drum’n’bass, grime, techno minimal dubbizzata. Non lo conoscevo e non credo che ne approfondirò la conoscenza. Decido di andare a prendere un’altra birra ed a riguardo devo dire che, per quanto riguarda il rifocillamento di cibo e bevande, hanno organizzato tutto benissimo: ci sono tanti punti bar-ristoro e non si deve mai fare la fila. Parafrasando un altro mio amico: so’ forti ‘sti inglesi!
Mi preparo ad altri due momenti clou. Il primo è il set di Joker. Anche lui già visto quest’anno al Sonar, dove era stato nettamente il migliore nello spazio dedicato a Marie Anne Hobbs. Non delude, all’inizio non esalta, ma non delude. Il suo è un buon crescendo con parte finale incentrata sulle sue produzioni soliste e quelle con il compagno di merende Jakes.
Apriamo un capitolo sull’argomento droghe. Mi sono sempre chiesto di cosa si facessero questi giovani dubsteppers per resistere tutte queste ore a ballare come forsennati. Coca? MDMA? Speed? Forse. Probabilmente anche, sicuramente va forte il protossido di azoto.
Facciamo un passo indietro, stavo seduto sulla solita spalliera di un divanetto quando si siedono sotto di me due giovincelle tutte sorridenti e coloratissime. Poggiano uno zaino sul tavolo e tirano fuori una busta con dei palloncini, ne gonfiano un paio con una bomboletta e poi ne aspirano il contenuto. Dopo poco è un via vai continuo di gente che, soldi alla mano, si fa consegnare dalle giovani pushers il loro palloncino e, dopo averlo inalato, va via super contenta.
Ah la vecchiaia! Questa mi mancava.
S’é fatta ‘na certa ed è arrivato il momento che forse di più aspettavo. S’impossessa dei controlli Plastician. Piccoletto e con una maglietta da basket portante il suo nome sulla schiena, dimostra da subito di essere un grande. Utilizza i vinili gestiti da traktor e si esibisce in grandi passaggi, tracce che viaggiano parallele per lassi di tempo lunghissimi e soprattutto, che è quello che sinceramente mi interessa di più, grande selezione. Molto meglio di quello che ci proponeva poco tempo fa con l’acclamatissimo mix su Rinse, che comunque resta un gran disco.
Il finale spacca, non tanto per potenza quanto per qualità. Prima un remix di un pezzo di Dizzie Rascal, l’originale dovrebbe stare sul suo disco d’esordio “Boy In Da Corner”, album al quale tanto deve l’attuale scena grime, poi “Intensive Snare”, frutto di una collaborazione tra Skepta e lo stesso Plastician, o meglio Plasticman, in questo caso. Infine conclude, come penso faccia sempre da un po’ di tempo a questa parte, con la sua “Japan”.
Sono esausto, decido che per quest’anno può andar bene così e mi dirigo verso casa.
Best t-shirt: me quedo con dos, una la indossa uno dei ragazzi pescaresi, nera con la scritta “jungle riot” e l’altra un ragazzo serbo con sul retro scritto: “…because life is too important to be taken seriously.”.
M.V.P.: ex aequo Youngsta e Plastician.
Nota a margine: in tre giorni nessuno ha suonato “Where’s My Money” e ne rimango sorpreso, evidentemente sono rimasto indietro.

Il biglietto del festival dava acceso a queste tre serate, ma due giorni prima che iniziasse il tutto, sul sito ufficiale è finalmente apparso il programma e scopro che avrebbero suonato anche giovedì e lunedì, gratis! Al ché mi incazzo, ho già programmato l’arrivo per venerdì mattina e così mi perdo uno dei miei Dj preferiti, ovverosia Bar 9, che suona solo giovedì, ed anche Pinch che meriterebbe sicuramente di essere ascoltato con più attenzione ed in una situazione migliore rispetto a quando l’ho sentito a Dissonanze due anni fa. Lunedì il programma slitta di parecchio, inizia a suonare qualcuno solo verso le 16 ed io devo prendere l’autobus per il porto, così ascolto un paio di pezzi e me ne vado.
Il traghetto parte alle 22 e spero, questa volta, di riuscire a dormire un po’.
Dopo più di 20 ore sto di nuovo a casa, stremato e soddisfatto.
Make more noise!!!!!