8 febbraio 2010
The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble
Nel 2000 l’olandese Jason Köhnen, noto per il suo progetto breakcore Bong-Ra, e Gideon Kiers danno vita alla formazione dei Kilimanjaro Darkjazz Ensemble. L'ispirazione principale sono le atmosfere delle pellicole di Murnau e di Lang tipo Nosferatu e Metropolis. Tra i gruppi preferiti di Jason ci sono i Black Sabbath, i Saint Vitus, i Chatedral, gli Sleep insieme a Miles Davis, John Coltrane, Charles Mingus. Insomma Doom Metal e Jazz. Ovvi i paragoni con i Bohern And The Club Of Gore. Parlando di loro altri gruppi che spesso vengono tirati in ballo sono i Portishead e gli Ulver (ultimo periodo).
Dopo l'esordio del 2006 su Planet Mu sono passati alla Ad Noiseam.
Download:
Here Be Dragons - 2009
http://www.mediafire.com/?24wjvyjy00m
Mutations - 2008
http://www.zshare.net/download/517773593ed00621/
The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble - 2006
http://www.megaupload.com/?d=2LI2C805
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5 febbraio 2010
Choosing Death - Albert Mudrian - Tsunami Edizioni - 2009
A lettura terminata non posso far altro che notare quanto sia azzeccato il sottotitolo: "L'improbabile storia del Death Metal e del Grindcore".
Improbabile è proprio l'aggettivo giusto, Dal 1987, anno di uscita di "Scum" dei Napalm Death e di "Scream Bloody Gore" dei Death ai giorni nostri, di gruppi che si sono mossi in ambito death e grind ce ne sono stati talmente tanti che sarebbe stato impossibile raccontare in maniera esaustiva la storia e la discografia di tutti quelli che veramente se lo sarebbero meritato.
Gustosa la prefazione ad opera di John Peel (R.I.P.) che da grande appassionato di musica a 360° (nelle sue trasmissioni radiofoniche ha ospitato Atari Teenage Riot, Mira Calix, Pink Floyd, Beatles, Autechre, Joy Division, Nirvana, Bong Ra, Doors, Napalm Death, Richie Hawtin, Carcass.....) capì subito che quei gruppi che con il loro sound iperveloce, distorto e confuso trasformavano dei piccoli pub londinesi in dei piccoli gironi infernali avrebbero lasciato un segno indelebile nella storia della musica, e non solo.
Nei primi capitoli viene raccontata la genesi di quei suoni, di come nella scena hardcore e metal inglese ed americana sempre più giovani trovano "soft" un disco come "Reign In Blood" degli Slayer e decidono che bisogna andare oltre, suonare più veloce, cantare ai limiti, ed oltre, l'intelligibile, dichiararsi e vivere contro tatcherismi e conformismi cattolico-borghesi vari. E così, nascita e crescita di gruppi come Napalm Death, Carcass, Extreme Noise Terror, Death, Morbid Angel, Terrorizer viene passata al microscopio dando anche un po' di spazio a quei gruppi "minori" come Deep Wound, Siege, Heresy e Repulsion che comunque hanno dato un grosso contributo all'evoluzione di quei suoni estremi. Buono anche il capitolo dedicato alla scuola svedese dove vengono raccontate le gesta di Unleashed, Carnage, Dismember e Nihilist. Ovviamente maggiore attenzione viene riservata agli Entombed e la cosa mi è sembrata buona e giusta.
Continuando nella lettura ho notato però una certa Earache dipendenza. Senza nulla voler togliere all'importanza di questa etichetta che fino ad un certo punto della sua storia si è dedicata completamente alla promozione di musica estrema penso ci sia stato, e c'è, molto altro.
Certo si parla anche di Relapse, Roadrunner, Nuclear Blast...ma pochissimo è lo spazio dedicato a gruppi ed etichette più piccoli/e ma non per questo meno importanti. Gli Assuck non vengono nemmeno menzionati, i Rotten Sound idem, Brutal Truth, Nasum, Pig Destroyer, Agoraphobic Nosebleed, Fear Factory compaiono di sfuggita. I Brujeria possono pure non piacere, non capisco come ma può essere, ma che fai non gli dedichi nemmeno un paragrafetto?
Non parliamo poi di gruppi provenienti dalla periferia dell'impero come gli astigiani Cripple Bastards, gli spagnoli Machetazo, i greci Rotten Christ (prima della svolta black).
Insomma tutto ruota attorno a Napalm, Carcass, Morbid e Death (tutti gruppi che considero fondamentali) ed il resto è un po' un contorno, un buon contorno, ma pur sempre un contorno ed io avrei preferito un menù con primi piatti meno abbondanti ma più vario.
Quella che però mi sembra la mancanza più grave è quella di non far uscire fuori quello che dovrebbe essere lo spirito del Grind. Il contesto sociale che lo ha generato. Per spiegare meglio quello che mi sembra mancare in questo libro copio ed incollo, senza alcun permesso, uno stralcio di quello che potrebbe essere un manifesto del Grind dal myspace dei romani Frank Drebin:
"Il grind rappresenta l'ultimo barlume dell'irrefrenabile gioia della DISTRUZIONE. Si tratta di un anti-musica coordinata a scavalcare tutto ciò che l'uomo, con sforzi millenari, si è prodigato a costruire in favore dell'armonia. E' l'ultima tappa, l'ultima battaglia, una TRINCEA sovraffollata, da soldati rinnegati che hanno perso le ultime sembianze di esseri umani. A rantoli esprimono la loro sofferenza d i loro disagi. Con grida mostruose ed incomprensibili attaccano ch li vuole vedere morti. Una MOSTRUOSA MUTAZIONE inarrestabile di quella che fu l'inimitabile iconoclastia del punk. Una vera e propria disciplina metodica. Un'arte marziale praticata a colpi di riff e doppia cassa. Un mortal kombat dove la mossa segreta è riuscire a dilatare al massimo l'esasperazione. Estetica del TORMENTO corrosiva. Una terapia unica, inbarattabile. Uno specchio capace di riflettere l'estetica di una passione e di un divertimento così insani da generare un piacere corporeo simile solo a quello che proviamo nel praticare la ginnastica più salutare. Uno yoga di matrice occidentale pronto a risvegliare mediante una ironia dissacratoria, l'esaltazione binaria del corpo e della mente. AGITARSI, SUONARE, SALTARE, il grind non va suonato ma EVOCATO come nel caso di una divinità misteriosa che non appartiene a questo mondo.....Il GRIND è l'improbabile colonna sonora di uno spettacolo teatrale post-moderno di ANTONIN ARTAUD....."
Nulla toglie che il libro si lascia leggere piacevolmente. Non mancano gli aneddoti simpatici. Contiene svariate foto e locandine di fine anni '80, primi '90. C'è un indice dei personaggi maggiormente rilevanti ben fatto. Una buona discografia e, come detto in precedenza, probabilmente sarebbe stato impossibile essere maggiormante esaustivi.
Però....
3 febbraio 2010
Diary Of A Calabro Warrior: London Tour (Outlook Festival Reunion Party)
Quando mi è arrivata l'e-mail che annunciava questa serata a Londra sono andato in fibrillazione.
Le due esperienze nelle edizioni estive del festival tenutesi in Croazia mi erano piaciute talmente tanto che ho pensato che era l'occasione giusta per fare un giro a Londra, e conoscere finalmente la città dove sono state codificate le sonorità dubstep. La città la trovo ricoperta da un leggero strato di neve che rende il paesaggio urbano ancora più suggestivo. Giusto il tempo di una doccia e di mangiare qualcosa (ovviamente fish & chips) e mi dirigo verso il Coronet Theatre dove si svolgerà la serata. Ancora non si è formata nessuna fila all'ingresso e vista la temperatura glaciale della serata mi fiondo dentro. Non suona nessuno che mi interessi particolarmente così gironzolo un po' per il locale ricavato in un palazzetto Art-Déco costruito negli anni '20. Al piano terra c'è la sala principale, dalla capienza di circa 1500 persone, con mega palco e con tanto di piccionaia anch'essa molto grande. Ai due piani superiori altre due sale più piccole ed una saletta che io ho denominato "la saletta degli scomunicati" visto che non era menzionata nel programma e vi suonavano dj's, diciamo così, non affermati.
Passiamo alla musica. Nella sala grande suonano i Mungo's Hi-Fi che ascolto solo per pochi minuti essendo un po' troppo dub per i miei gusti, così salgo al secondo piano dove si esibiscono Adsassin e Moriatti ovverosia i Fused Forces. I due si alternano ai CDJ's proponendo un set abbastanza vario ed a momenti anche abbastanza potente e la gente, anche se non è tanta se la balla di gusto. Sono ancora freddo e voglio conservare un po' di energie visto che la nottata si presenta lunga così mi rimetto a vagare. Passo dai Gentleman's Dub Club ma il loro dub vecchia scuola condito con fiati, tastiere, basso e batteria live non mi dice tanto. Risalgo al primo piano mentre suona Kromestar. Anche lui non è tra i miei preferiti anche se il set scivola pulito e i giovani londinesi, adesso numerosi, sembrano apprezzare parecchio. Capatina dagli scomunicati. La saletta è semi vuota ma il dreaddoluto Dj sta suonando "Night Vision" di Distance remixata da Skream. Anche io possiedo una copia di quel picture-disc e mi sento di dovergli stare vicino. Tra l'altro la suona con il pitch posizionato quasi sul +8% dandogli un tantinello più di brio e la cosa mi sembra funzionare bene.
Torno al secondo piano e trovo i Sukh Knight che partono con tracce quasi reggaeggianti per poi passare sul versante più techno del dubstep addizionato da tablas, sitar ed altri strumenti asiatici, in omaggio alle origini di uno dei due, che tra l'altro credo sia il titolare del marchio SK. L'ultimo quarto d'ora incattiviscono la selezione e lasciano gli astanti più che soddisfatti.
Intanto è arrivato il momento di uno dei set da me più attesi. Youngsta. Il nostro giovine alla tenera età di 13 anni già si aggirava per le radio pirata londinesi ed oggi, 25enne è considerato uno dei migliori Dj dubstep al mondo tanto che la Tempa gli ha affidato i volumi 2 e 4 (con Hatcha) della serie Dubstep Allstars. Peccato non si sia dedicato con la stessa passione alla produzione di traccie proprie visto che quando lo ha fatto (una volta in collaborazione con Kryptic Minds ed un'altra con Seven) i risultati sono stati eccellenti. I primi 10 minuti passano con il nostro eroe a smadonnare dietro a mixer e piatti insoddisfatto del suono in sala. Effettivamente si sente maluccio ed il volume è basso. Quando il fonico sistema le cose la sua selezione di dubplates 10" non lascia via di scampo. I bassoni rotolano lenti ed aggressivi trascinandoti in uno stato di trance dal quale non vorresti più uscire. Come già detto in altra sede, probabilmente, fosse nato 15 anni prima, ed a New Orleans, avrebbe suonato l'ascia con gli Eye Hate God.
Purtroppo per assistere al suo set ho dovuto rinunciare a gran parte di quello di The Bug, ho visto solo l'ultimo quarto d'ora e mi sono mangiato le mani. Dietro una consolle lunga circa tre metri, Kevin Martin se ne stava nascosto dalla sua felpa con cappuccio abbassato fino al naso e passava dal laptop ad altri marchingegni da me non identificati producendo solidissime basi sulle quali un Mc (?) sciorinava le sue rime con un flow molto ragga. Il finale è un delirio, sembra di sentire i suoi Techno Animal in jam con (i suoi) God. Assolutamente da rivedere.
Nella sala di mezzo tocca a E-Malkay e sono molto curioso di sentirlo. Dopo pochi minuti non lo reggo più. Che delusione. Da colui che ha tirato fuori il tormentone probabilmente più suonato in tutte le feste dubstep del pianeta: "When I Look At You", mi sarei aspettato molto di meglio e così decido di salire al secondo e spalmarmi un attimo sui divanetti in attesa di tempi migliori. Come sottofondo ho il set di Kutz che trovo abbastanza piacevole fino a quando non si abbassa il volume e vedo la maggior parte dei pischelli presenti accalcarsi sotto la consolle. Capisco subito che è arrivato l'uomo mascherato: Mr.Stenchman che posizionato ai comandi fa partire una canzoncina-filastrocca che mi fa pensare a qualcosa di tradizionale molto english. Immediatamente dopo scatta il delirio, wobble bass a go-go. L'omone si dimena dietro ai piatti aizzando la folla che risponde entusiasta. Più che di stare in un club dance sembra di stare al CBCG, ci manca solo che qualcuno si metta a fare stage diving e venga travolto da un furioso circle pit. Quando fa partire il suo remix di "When I Look.." vorrei andare dietro la consolle e dargli una pacca sulle, grosse, spalle, ma non è il caso e mi limito a godermi il suo set. All'indomani ho chiesto in giro per negozi di dischi se questo remix fosse stato pubblicato da qualcuno ma mi hanno detto che si tratta di un dubplate che probabilmente usa solo lui nelle sue serate.
A malincuore decido di lasciare Stenchman per andare giù visto che dovrebbe essere il turno di Hatcha ed anche lui merita. Arrivato nella sala principale si presenta in consolle Plastician. Per qualche motivo, che non ho capito, Hatcha ha dovuto fare forfait e quindi Plastician farà un set più lungo. La cosa mi dispiace però, mi dico, due ore di Plastician non sono manco da buttare via e mi inoltro fino a sotto il palco. Il volume e la qualità del suono sono impressionanti. I subwoofers emettono dei bassi dalla profondità e lunghezza inaudita, cassa e rullante in half-time, insomma, grande dubstep. Intanto, con il passare dei minuti, il numero degli Mc's sul palco aumenta, dai due iniziali si passa a quattro, sei, otto! E contemporaneamente le basi si sono fatte sempre più scarne, Plastician si è trasformato in Plasticman fino a dissolversi in un entità, non meglio identificata, produttrice di beat al servizio delle rime di quest'esercito di rapper. Come avrete capito non ho gradito molto, in realtà ci è mancato poco che mi mettessi a blasfemare in aramaico per rivendicare il mio diritto ad una maggiore dose di sano dubstep ma ovviamente non è andata così ed ho subito passivamente l'evolversi delle cose. Quando è spuntato fuori un omino che si è messo a lanciare dei CD's in mezzo al pubblico ho pensato, eccolo la, in mezzo a sto casino manco il souvenir ci scappa. Invece, grazie al mio angelo custode che già me ne aveva fatto rimediare un paio in Croazia, ne ho adocchiato uno in mezzo ad una selva di gambe ed in un attimo me ne sono appropriato.
A questo punto, fattasi una certa, e distrutto dal viaggio e dalle danze, decreto chiusa la nottata e me ne vado a dormire.
Mi sa che in Croazia un salto lo faccio anche quest'anno.
Make more noise!
2 febbraio 2010
Cardopusher - Live Sonar 2009
Mi sembra di riconoscere un losco figuro in quinta fila......
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